Don Dolindo Ruopolo |
Quale spettacolo
desolante offrono tanti cristiani nel momento del lutto! Il popolo
crede di passare per disamorato e di fare una brutta figura innanzi
agli altri se non dà in atti di disperazione, e tante volte impreca
al Signore, bestemmiando nella maniera più truce. In certi paesi è
di rito lo strapparsi i capelli con tale violenza da spargerli sul
pavimento. In certe case, appena spirata la persona cara, si protesta
di non avere più fede, e si rivolgono ingiurie alle immagini sacre,
profanandole; altro che radersi le sopracciglia o tatuare il proprio
corpo! Il cristiano, invece, comprende che la persona cara è passata
all’eternità, a Dio. È il momento più solenne quello della morte
nel quale bisogna raccogliersi nella meditazione della vita eterna, e
bisogna pregare, pur sentendo la veemenza naturale del dolore. La
casa veramente cristiana risuona di preghiere e di atti di
rassegnazione alla divina volontà; chi ci visita in quella luttuosa
circostanza deve riconoscerci per cristiani e deve, dal nostro lutto,
riportare un salutare ammonimento sulla realtà della vita eterna.
Noi dobbiamo allora dimostrare di essere figli di Dio, e non possiamo
quindi sfigurarci come pagani nel nostro dolore.
Del resto, anche
umanamente parlando, gli atti esterni troppo caricati non sono segno
di un vero e profondo dolore, perché il vero dolore è muto; sono il
più delle volte delle manifestazioni forzate, suggerite dal rispetto
umano che svaniscono appena il povero morto è disceso nella tomba. È
la triste storia di tutti i giorni, e lo sanno i poveri trapassati ai
quali molte volte non giunge dalla propria famiglia neppure un solo
suffragio. Tutti quegli atti di sconforto e di disperazione anzi,
tutte quelle offese fatte alla maestà divina che chiama le anime a
sé per misericordia e per amore, riescono estremamente penose al
defunto. Questi, appena spirata l’anima, si trova alla presenza Dio
e ne apprezza la bontà e la maestà; in quella mirabile rivelazione
non c’è cosa che più stoni quanto la disperazione dei superstiti,
come non c’è cosa che più sollevi il defunto veramente quanto gli
atti di lode e di benedizione che si fanno a Dio nella medesima pena
della morte.
Se amiamo veramente i nostri cari, inginocchiamoci
piangendo, uniamoci alla divina volontà, benediciamo Dio,
accompagniamo l’anima al suo trono con la preghiera, ricordiamoci
che la terra è un luogo di passaggio, togliamo dalla nostra vita il
peccato, riconciliamoci con il Signore, distacchiamoci dalle vanità,
guardiamo alla realtà della vita e sospiriamo anche noi al Cielo.
Questo è il modo più bello e più sincero per piangere un defunto,
riponendolo così nella tomba fra le benedizioni, nell’attesa della
resurrezione finale. Qualunque altro modo di mostrare il proprio
dolore è un atto di apostasia da Dio e dalla fede.
Il cristiano
deve distinguersi per una grande purezza e per una grande onestà di
costumi. Gli Ebrei si astenevano dai cibi immondi, noi ci asteniamo
dagli atti immondi dei quali quei cibi erano figura. In mezzo
all’orribile corruzione del mondo, dobbiamo dimostrare che siamo di
Dio, fuggendo il male e le occasioni del male. Dobbiamo dare al
Signore tutta la nostra vita, offrendo a Lui e per la sua gloria le
nostre attività e i nostri beni, riguardandolo come Padrone
universale di tutto, onorandolo nei poverelli, negli afflitti e nei
suoi ministri. Dio deve essere il fine di tutta la nostra vita, per
Lui dobbiamo lavorare, a Lui dobbiamo rivolgere ogni nostro amore.
Solo così saremo veramente il suo popolo, ed Egli ci benedirà in
tutte le nostre iniziative. Ricordiamoci di dare a Dio le decime,
almeno le decime, in ogni evento della nostra vita. In un
divertimento onesto non deve mancare la decima a Dio, ricordandoci di
Lui e ringraziandolo. In un pranzo non deve mancare la decima a Dio,
facendo per suo amore un atto di mortificazione privandoci di un
boccone che più ci piace, piccolo contributo di riconoscenza e di
amore a Lui. Se il cibo della nostra vita è immondo, come possiamo
darne a Dio la decima? In un ballo, per esempio, in un teatro, in una
casa cattiva, in una conversazione peccaminosa, come puoi dare la
decima a Dio? Bisogna eliminare dalla nostra vita quello che è
indegno del Signore, senza farci affascinare dal male. Come Mosè
ricordava continuamente agli Ebrei la loro liberazione dall’Egitto,
così noi dobbiamo ricordarci continuamente che siamo stati redenti
dal Sangue di Gesù Cristo, e che non possiamo profanare la vita che
Egli ci ha data, partecipando alla vita del mondo che è impurità,
peccato e apostasia da Dio.
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